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Come formatore sul Project Management,
presso Eureka Service, mi capita di soffermarmi su di una slide
in particolare che, come in figura, descrive il “Sistema di
Project Management”.
Il sistema è rappresentato da tre cerchi
che dovrebbero convergere verso un punto centrale, in modo da
eliminare il più possibile aree di non sovrapposizione. Questa
figura illustra gli elementi cruciali per la messa a punto di
un sistema di PM, sistema che ha infatti il compito di
“scegliere” gli strumenti più idonei, di “assumere o formare” le
persone coinvolte e di “definire” i processi più corretti. |
Il peso dell’elemento processi, come
emerge dalla figura, è notevolmente maggiore rispetto agli
altri. Ciò accade perché, abbracciando una filosofia
squisitamente anglosassone, si ritiene di dover dare un maggior
valore alla parte processuale in termini di standard procedurali
aziendali a prescindere dalle persone che sono impegnate a
seguirla. In tale ottica si tenta non solo di evitare di
creare processi “ad personam” ma, nel rendere il processo stesso meno
dipendente dalle persone impegnate ad implementarlo (tutti sono
importanti ma nessuno è indispensabile!), lo si formalizza
maggiormente per creare un chiaro standard.
Sulla base dell’esperienza maturata in questi anni, ho potuto appurare
che introdurre un sistema di project management (il pallogramma di cui
sopra) all'interno di un'azienda, o di una sua funzione, può risultare
molto poco coinvolgente e poco produttivo qualora, nonostante se ne
riconosca la necessità e l’esigenza, non esista un forte commitment ed
una sponsorizzazione da parte di persone dotate di autorità. Inoltre,
l’errato coinvolgimento degli stakeholder principali, potrebbe portare
all’implementazione di un sistema scollato e disallineato con il
contesto aziendale.
Se è vero che è il contesto che sceglie il processo, gli strumenti e
forma le persone, questo non è immutabile e credo necessario che vi sia
anche un processo di ritorno, un feedback al contesto stesso, per
verificare che le scelte che sono state fatte ed implementate (il
sistema nel suo complesso) risultino efficaci e possibilmente
correggerle.
Molto spesso le aziende, con buona volontà, si affidano a consulenti
esterni per tentare un primo approccio al sistema, o per migliorare
quello esistente, confidando nella buona riuscita dell’impresa. Ma a
volte capita che all’avanzare dell’opera, all’insorgere dei primi
ostacoli, o solo alla sua conclusione, ci si accorga di non aver
coinvolto correttamente le persone ed è molto più facile attribuire
colpe all’esterno (i consulenti) piuttosto che predisporsi all’interno
dell’organizzazione a rivedere in ottica critica i processi che hanno
partorito una soluzione poco efficace. Ritengo che non sia corretto
ritenere perfetto un processo, per il semplice fatto di averlo definito
ed implementato, ma che, in ottica di miglioramento e dinamicità,
qualunque processo, o sistema, debba essere considerato perfettibile.
Solo ora capisco l'importanza, direi strategica, del Process
Improvement Plan (Piano di Miglioramento dei Processi) proprio in
termini di qualità, ossia in termini di "idoneità allo scopo" per il
quale ogni processo del sistema è stato definito. Spesso sento dire "il
processo non funziona" ma al contempo vedo anche che nessuno fa
niente per migliorarlo, con la conseguenza che le persone si disamorano
e la novità perde il suo fascino.
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E’
proprio in quest’ottica che, ritornando alla figura di partenza, ho
ritenuto imprescindibile racchiudere il Sistema di PM in un framework,
il contesto, che diviene rilevante non solo perché è impegnato a
definire e giustificare certe scelte in fase di avvio ed implementazione
del sistema di Project Management, ma deve esserlo ancor di più nello
sponsorizzare, con successivi ritorni ed aggiustamenti, le scelte che in
corso d’opera vengono effettuate.
David Corbucci, PMP®
Eureka Service |
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